Il linguaggio, la cancellazione e tutte quelle altre cazzate demagogiche

Mi ero ripromessa più volte di tenere gli articoli in questo blog estremamente limitati a questioni lavorative ed evitare di fare sfoghi agghiaccianti di quelli che chi mi conosce sa che posso fare.

Il punto è che lavorando con il linguaggio, le parole, facendo neuromarketing e marketing da ormai più di un decennio, onestamente ogni tanto mi sale il genocidio a stare dietro certi discorsi e quindi almeno un post che mi rileggo per dire "vabbè ho già rotto le palle a riguardo" fatemelo fare.

Il linguaggio non è una cazzata: è peggio

So per certo che il blog è letto da poche persone, che perlopiù stanno cercando di capire se sono una persona capace o un'improvvisata a casaccio. Mentre lascio queste considerazioni al mio curriculum e al resto del sito, vorrei far capire che il mio background culturale, istituzionale e soprattutto personale mi ha portata (per forza di cose tra l'altro) ad andare ben oltre il "velo" sociale e studiare approfonditamente dinamiche quotidiane che avrei ben voluto evitare dall'analizzare troppo.

Senza scendere nei dettagli morbosi, diciamo che il linguaggio l'ho dovuto studiare sia per arrivare a lavorare decentemente anche quando ero un'idiota imbranata, sia perché mi sono trovata di fronte così tanti cambiamenti, situazioni e melting pot culturali dove usare la parola sbagliata era una sentenza di morte.
Per capirci, sono una di quelle persone che ogni tanto mentre parla a manetta se ne esce con parole assurde usate giusto sui manuali di retorica del 1910 e, specialmente nei discorsi dove sono molto coinvolta, finisce che non si capisce un c***o di quello che ho detto. Purtroppo è un mio problema e un mio pregio: mi devo adattare alla persona con cui parlo, o a cui scrivo, perché altrimenti di mio sarei incomprensibile, in media. Nella vita mia madre mi ha sempre detto che o facevo la giornalista o l'avvocata. Pensa quanto è depressa pora donna.

Ora tutto questo che ha a che fare con l'articolo?
Semplicemente, queste menate assurde sul linguaggio che vedo fatte da improvvisati linguisti che a schiocco di dita diventano giurati, allenatori, esperti di moda o musicisti, io le guardo ed evito di immischiarmi perché sono poco diplomatica, ma soprattutto posso essere molto pesante.

Chiunque ha fatto o attualmente fa il mio mestiere, dove si lavora con le parole per interessare e convincere le persone a fare questo o quello, sa che anche quello che è "moralmente" o "socialmente" poco accettato, è uno strumento a disposizione. Se per dire ho un cliente (l'ho avuto) impegnato nella creazione di fumetti porno, a cui serve una comunicazione come brand, allora qualsiasi stereotipo e menata morale si fanno da parte, ovviamente sempre nei limiti del rispetto della propria persona. Per dire, se vi aspettate vi faccia un piano editoriale mentre vi occupate di sponsorizzare l'utilizzo del glifosato come ottimo sciroppo per la tosse, vi denuncio e finisce lì.

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Il linguaggio come veicolo di demagogia

Il fatto è che il linguaggio, con le sue paroline "meme", come si dice oggi (perché "virale" è così provinciale come parola...) è di fatto l'espressione di concetti di qualsiasi tipo, compresi quelli demagogici. Per chi non avesse bene chiaro il significato di "demagogico" e non gli piace consultare i dizionari, ve lo riassumo: stronzate per fomentare il popolo.
Il ponte sullo stretto? Demagogia mafiosa, per raccogliere soldi.
Abolire il reddito di cittadinanza invece di farlo funzionare? Demagogia mafiosa per ridurre i giovani in schiavitù. Continuate voi la lista.

Al di là della politica, la demagogia è una cosa molto stupida atta appunto a farti pensare "questa persona vuole fare qualcosa di positivo per me", quando in realtà certi individui stanno facendo e dicendo cose solo per il proprio tornaconto personale. Insomma, nei peggiori Bar di Caracas chi fa demagogia è chiamato comunemente "leccaculo". Volgare o meno, questa è la realtà, vedete un po' come reagire a riguardo.

La "cancellazione" e le patologie americane

Fin da quando ero alta quanto una lattina di lenticchie, una cosa ho capito: l'Italia e molti altri Paesi sono completamente ipnotizzati, affascinati in maniera morbosa dall'America. Non intendo America come Canada, Messico e compagnia, ma proprio gli Stati Uniti e basta, che addirittura chiamiamo "America" come se tutti le altre nazioni fossero immigrate dentro il continente delle aquile. Quello che fanno a New York dev'essere quello che si fa ovunque, perché parlano inglese. Ci sono un sacco di menate sull'imperialismo linguistico che è meglio non mettere di mezzo, ma che hanno certamente un fondo di verità.

Quindi se negli anni '90 eravamo tutti con le valigette 24h nere e i cappottini dark/gotici in latex perché avevamo visto Matrix, nel 2023 stiamo qui a raccontarci cazzate a vicenda basandoci su quello che gli americani dicono. "Cancellazione", "politicamente corretto", "appropriazione culturale", tutti concetti che se non fosse stato per gente senza bidet non avremmo neanche saputo cos'erano e, probabilmente, avremmo avuto dei discorsi meno tossici e più utili o sensati.

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Photo by Colton Sturgeon on Unsplash

Sì, ok, MA INSOMMA LA SOLUZIONE?

Giustamente vi aspettate che io ora chiuda questo rantolo/lamento con una soluzione, che dica qualcosa di motivazionale tipo "dovremmo fare ritorno alla primordiale capacità umana di considerare le molteplici possibilità contenute nell'assenza di sofismo, concedendoci di tanto in tanto la libertà di decidere come gestire le situazioni senza avere tenuta la mano tutto il tempo". Ecco, l'ho fatto, potete anche smettere di leggere qui, ciao.

Sono seria. Capisco sia un'esigenza umana quella di seguire un "capo", di avere una specie di guida perché siamo animali sociali e, come i lupi o le oche dobbiamo avere qualcuno che ci dice dove andare, cosa fare, come farlo, ma è pur vero che se dobbiamo considerare il nostro essere "animali", allora non dovremmo neanche stare qui a parlare se è morale o no sbranare una persona ferita in mezzo alla strada. Diciamo che abbiamo fatto un passetto evolutivo in più e quindi ci meniamo di cazzate morali dalla mattina alla sera per fingerci migliori del gatto che abbiamo sulla sedia.

Il linguaggio lo abbiamo creato per veicolare concetti e non per dare un senso alla vita di Giacomozzi Serpentoni su Facebook (o Twitter, o qualsiasi altra piaga social usiate) che finalmente può sfogare la sua frustrazione insultando chiunque non parla come lui.

Ora, poi, che mi diciate anche come parlare, che mi dite che usare la schwa (questo simbolo satanico qui Ə che stiamo usando invece del latino neutro, mannaggia a voi) è uno "statement politico" (detto così proprio, col termine inglese, anche con un po' di puzza sotto al naso) a me non solo non sta bene, ma mi fa girare il culo, perché il secondo prima state lì a riparare in maniera molto utile i tubi che perdono di un impianto idrico nel mio condominio e l'attimo dopo mi fate i Noam Chomsky della situazione. Ve lo dico proprio così, come mi viene dal cuore, a patto di perdere la stima dei moralisti e dei puristi che leggeranno questo pezzo, nel pieno rispetto della lingua italiana sacra: 'ncacatercazzo che magari domattina vi svegliate morti.

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