Un Paese gretto apprezza solo cose grette

Avendo 31 anni, la mia infanzia fa parte di un piccolo repertorio ormai nostalgico di nozioni particolari.

Quando avevo undici anni, infatti, l'idea diffusa era che se non si aveva voglia di andare a studiare, per completare le superiori, si andava a lavorare "in bottega". A "sudare", come piace dire a molti.
Facendo un piccolo timeskip di vent'anni, immagino che nessun genitore che segua un minimo l'attualità del mondo direbbe ai figli di "andare a lavorare", se non vogliono studiare. Dopotutto siamo uno dei Paesi europei con il maggior abbandono scolastico e tra le nazioni dove i laureati ottengono maggiormente mansioni di basso livello rispetto ai propri studi. Quindi se persino chi ha triennale e magistrale deve accontentarsi di lavorare con quello che trova, come dovrebbe fare qualcuno senza neanche il titolo delle scuole superiori?

Tuttavia, il problema è molto più ampio. Indaghiamolo a fondo, perché stiamo toccando un iceberg così grande che in confronto quello del Titanic potrebbe sembrare un Polaretto.

Senza educazione, non c'è specializzazione

Partiamo anteponendo un concetto: non è la scuola a rendere il lavoratore bravo. Non sono le superiori, non è l'università, non è la magistrale. Che si parli di un creativo, un manovale o qualsiasi altro settore, è soprattutto l'esperienza lavorativa e di vita a creare un'ottima figura da inserire nel team.

Una volta tolto questo assunto, evitiamo di cadere nella trappola del "assumo giovane neolaureato con 10 anni di esperienza", annunci ridicoli che giustamente finiscono sulle bacheche dei più sarcastici come esempio da non seguire. La scuola, l'università e qualsiasi altro master si segua, sono tutte esperienze a modo loro lavorative, formative e che ti rendono una persona migliore, dando un po' di slancio anche per entrare nel mondo del lavoro preparati.

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Laurea = Lavoro? No.

Senza però nulla togliere ai laureandi e i dottorandi, dobbiamo fare i conti con una realtà che ho già accennato: la laurea in Italia non conta abbastanza. Sì, certo, ci siamo laureati con 110 e lode nel nostro corso, magari abbiamo fatto stage lavorativi dove ci hanno apprezzato tutti, ma a conti fatti, l'Italia è in crisi, un decadimento fallimentare che continua da vent'anni e non accenna ad arrestarsi.

L'ultimo baluardo delle posizioni lavorative "complesse" lo rappresentano le mansioni tecniche, dove neanche la prosopopea qualunquista della Gen X, legata appunto all'imparare sul campo e relegare la scuola a una specie di sistema dedicato alla borghesia, può fare nulla: da qualche parte bisogna studiare. Anche qui, a onor del vero però, il titolo è meno importante delle attuali conoscenze e competenze: si può diventare ottimi programmatori anche senza una laurea in ingegneria.

Di contro, il costante sminuire l'educazione e il crescente divario di ricchezze, con tanto di aggiunta di paletti economici all'istruzione, sta completamente distruggendo e facendo collassare su sé stesso l'intero sistema lavorativo italiano. In particolare quello legato ai ruoli creativi.

Lo sentite questo rumore in lontananza? Sono gli stormi di cornacchie che urlano "i lavori creativi sono fuffa", "questi sono lavori inventati", "fare il grafico non è un vero lavoro", "il marketing è sopravvalutato" e una sequela imbarazzante di pressapochismi che sento bene o male ogni giorno. Non scendiamo nei dettagli, fermiamoci a una frase che mi è rimasta in mente, letta su un thread del sito Reddit un paio di anni fa, dove un sedicente quarantenne che lavorava in ambito finanziario millantava

"Se avessi avuto trent'anni oggi, starei rubando i soldoni alle aziende come copywriter".

Inutile a dirsi, mi sono segnata l'azienda di cui era a capo per vedere cosa facessero e sono degli arrabbattati, ma come dicevo, non scendiamo nei dettagli.

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Ok! Ma qual è il problema qui?

Se ancora non fosse sufficientemente chiaro, l'ignoranza e la mancanza di educazione, conoscenza e capacità, portano inevitabilmente a non avere gli strumenti a disposizione per capire come il mercato si sia evoluto e cosa serva, oggi, nell'era del digitale e del marketing sociale, per lavorare bene senza sembrare usciti da un copione comico. Volendo però allargare il discorso, senza mezzi non si può capire proprio nulla.

Per fare un esempio, è come se un professore di fisica mi provasse a spiegare un'equazione di meccanica quantistica, mentre io ho passato con il 6 politico gli esami di fisica del liceo. Anche se me lo spiegasse come se avessi cinque anni, non lo capirei, probabilmente neanche impegnandomi. Mi dovrei FIDARE della sua conoscenza, essere umile e riconoscere i miei limiti.

Similarmente, al momento stiamo vivendo una sorta di mondi paralleli a contatto: da una parte una generazione che il marketing l'ha visto in maniera completamente distaccata, dove il grafico pubblicitario, il pubblicitario e tutto ciò che appariva in TV o sui cartelloni pubblicitari era fatto da entità misteriose, avvolte di buio, composte di antimateria. Dall'altro lato del ring, invece, abbiamo la generazione dei "Millennials", di quelli che hanno creato l'attuale network informatico e che l'hanno popolata, pitturata e ne utilizzano gli strumenti a fini lavorativi.

Il problema principale di questa spaccatura così profonda è che, spesso, a capo delle aziende troviamo ancora una generazione con scarsa o nulla cultura del marketing. Persone che danno per assodato chiunque possa scrivere un copy per ads, o un articolo SEO-oriented, persino le AI. Non nascondo il mio malcontento e la mia scarsa considerazione di chi dello sminuire gli altri ne fa una missione di vita, tuttavia non posso fare altro che notare come, proprio chi prende le cose in questa maniera fondamentalmente errata, finisca sempre poi per lamentarsi che del mercato di oggi "non ci si capisce più niente". Un po' quello che direi io alla fine della spiegazione di meccanica quantistica.

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Soluzioni? Idee? Nessuno?

Purtroppo puntare il dito e dire "ha stato l'ignoranto" non è esattamente una grande soluzione. Per quanto trovi difficile avere a che fare con persone che non hanno rispetto del mio lavoro, le mie qualifiche e le mie esperienze, la soluzione non è e non può essere creare un campo di guerra "giovani VS vecchi", anche perché i "giovani" non sono certo esenti da questi difetti.

L'unica vera soluzione è smettere di pensare che l'istruzione sia un privilegio, che il lavoro sia l'unica cosa che conta, che alla fine del mese bisogna vedere se ci avanzano i soldi per il nuovo smartphone. Dobbiamo interrompere il consumismo compulsivo che la società della Gen X ha creato, a fini puramente commerciali, e riprenderci quel mondo che dovrebbe essere "nostro", inteso come di ognuno.

Così come io non chiamerei mai un idraulico per farmi aggiustare l'impianto elettrico, non si dovrebbe pensare di far fare a uno junior copywriter il lavoro di un senior, i testi per le ads a un graphic designer, i video per TikTok al marketing specialist.
Ognuno ha il suo lavoro e il suo ruolo. Poi tutti ci improvvisiamo, ma finisce sempre che guardiamo alla presa elettrica che abbiamo provato a riparare da soli e pensare "per ora regge, domani chiamo l'elettricista".

Torniamo a dare valore all'individuo, perché al momento stiamo dando peso e valore soltanto all'ego fragile. Pensare di saper fare tutto, senza l'aiuto di nessuno, è solo un altro modo per chiamare il fallimento.